Rassegna stampa

Blue Magazine Speciale Bondage

Alle origine di Boundless  di Alessio Trabacchin

Hikari Kesho scolpisce i corpi con le corde e con la luce. In questa breve intervista, l’artista racconta l’origine e chiarisce la direzione della sua ricerca estetica, Bondage come forma di un a bellezza irriducibile fino, quasi, alle soglie dell’astrazione.

D. Sembra che attraverso Boundless tu abbia voluto attuare una sorta di sublimazione del bondage?
H. Si, è senz’altro un atto di sublimazione, ma non propriamente del bondage, non nel senso stretto della parola.
In Boundless non ho utilizzato le corde, ne le modelle le hanno vissute, come forma di costrizione o di sottomissione, bensì per enfatizzare le loro naturali forme, per disegnarne i volumi, esaltati dal chiaro-scuro del bianco e nero, in una fusione di solchi naturali della carne e di linee tracciate dalle corde, linee di forza, che “impongono” posizioni a puro fine estetico, con una valenza direi scultorea.

D. Raccontarci il percorso che ti ha portato a realizzare questo ciclo fotografico.
H. Da circa un paio d’anni il mio interesse artistico era rivolto allo Shibari.
Un giorno una mia amica, dalle forme molto generose, è venuta a trovarmi in studio perchè le serviva un ritratto.La mia tendenza alla ricerca di soggetti nuovi e non banali, la sua disponibilità e curiosità nei confronti di questa tecnica giapponese che stavo studiando… abbiamo provato, il risultato finale è andato oltre le aspettative e così, con il suo prezioso aiuto a livello organizzativo e di casting, o deciso di intrapprendere questo perocorso artistico.

D. Come nasce il tuo interesse per lo shibari?
H. Ho sempre fatto studi fotografici sul nudo, perlopiù femminile, cercando di dargli una valenza statuaria, con una certa ricerca di forme ed equilibri, dove il gusto classico spesso “bisticciava” con fantasie oggi direi in stile fetish o sm, ma 30 anni fa non lo sapevo.
Un giorno parlando con una mia amica di alcuni film giapponesi, dove avevo visto donne legate e sospese con nastri di seta rossa, lei mi disse: ah, lo shibari…da lì è cominciata una frenetica ricerca in Internet di tutto ciò che riguardave questa pratica.
Ho scoperto così che l’arte della legatura giapponese, con la sua ricerca dell’estetica, degli equilibri, delle simmetrie, era molto vicina alle mie interpretazioni fotografiche, inoltre l’uso delle legature con le corde riportava a situazioni che io ricreavo con l’aiuto di corde, catene, manette, perfino rami d’edera.
Capii così che lo Shibari, in un solo nome, racchiudeva il mio immaginario erotico, le mie emozioni, il mio gusto estetico.

D. Il tuo lavoro nella moda e nella pubblicità e quello che fai sotto il nome di Hikari Kesho sono in conflitto, totalmente distinti o si contaminano in qualche modo?
H. Sono in conflitto, perchè io li vivo quasi in contrapposizione: uno è il lavoro commerciale, dove c’è una committenza che in qualche modo ti impone le sue esigenze e dove il soggetto della foto spesso è il contenitore e non il contenuto, l’altro è la libera espressione di me stesso, che non deve fare i conti con nulla e con nessuno e dove la protagonista indiscussa è la persona fotografata, al di là dei tempi, al di là delle mode.

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