Referenze

SHIBARI – ESTETICA ED ESTASI

Data: dal 21/06/2019 al 07/07/2019

Luogo: Oratorio Santa Maria Assunta, Spinea (VE)

Sabato 22 giugno, alle ore 19 presso l’Oratorio di Santa Maria Assunta SPINEA (VE), a cura di Visioni Altre, si inaugura la mostra dell’artsita Hikari Kesho “Shibari in oratorio”.

ALL’INUGURAZIONE SEGUIRA’ UNA PERFORMANCE DI HIKARI KESHO.

E SUCCESSIVO RINFRESCO OFFERTO A TUTTI I PRESENTI.

La mostra, visitabile fino al 7 LUGLIO 2019 organizzata dall’Associazione culturale Visioni Altre con il patrocinio del Comune di Spinea (VE).

Apertura al pubblico: da giovedì alla domenica dalle 15.30 alle 19.30
Comunicato stampa a cura di Ilaria Cerioli

“Legami, annientami e infine annegami..” (Patrizia Valduga)

Perché scegliere per una mostra un tema così struggente e particolare come lo shibari? Perché, sfidare il conformismo ed esporre opere irriverenti come quelle di Hikari Kesho in uno spazio come l’Oratorio di Santa Maria Assunta? La mia risposta è banalmente “perché no”! perché altrimenti dovremmo chiederci anche se sia lecito o meno leggere le poesie di Patrizia Valduga, dove sacro e profano danzano insieme sulle note di un endecasillabo. Se l’armonia della forma stilistica della Valduga richiama uno studio preciso della metrica, rispolverando sonetti, madrigali, sestine, ottave, terzine dantesche e quartine, in un gioco di richiami illustri, così le opere di Hikari Kesho non si pongono solo in un orizzonte voyeuristico, dove il corpo è sovrano, ma in un contesto complesso fatto di citazioni e allusioni all’arte antica e barocca.

Pertanto cosa mi aspetto da una mostra di Hikari? Una miscellanea di immagini che richiamano la poesia creando un dialogo continuo tra forma, luce e bellezza esattamente come la geometrica voluttà delle quartine di Patrizia Valduga

Dal mio martirio viene questa pace,
questa pienezza dalla tua rapina…
A tutto ciò che non ha nome e tace
sento l’anima mia farsi vicina.”

Non a caso l’artista Alberto Lisi ha scelto come nome d’arte proprio Hikari Kesho, dove il prenomen richiama la luce e il nomen la bellezza. E in questo contesto stanno perfettamente a loro agio anche le corde, strumento di apparente coercizione. Lo shibari, infatti, nasce in Giappone come pratica militare utilizzata dai samurai per legare i propri prigionieri e a seconda del rango sociale di questi, i nodi si diversificavano. Dall’esposizione pubblica dei prigionieri catturati e legati con nodi articolati, quasi a formare disegni sui corpi, lo shibari o kinbaku, da metodo di arresto e tortura, passa al mondo del teatro kabuki dove le rappresentazioni mettevano in scena storie di donne indifese perseguitate, catturate. poi lasciate a lungo agli sguardi del pubblico maschile, pronto a pagare per poter toccare quelle carni avvinte. È innegabile l’alta carica erotica della pratica dello shibari, ma, se stemperata dalla maestria di un artista come Hikari, diventa metafora.            

Il percorso espositivo, infatti, segue la logica di un itinerario, quasi un percorso iniziatico. Chi entra nell’’Oratorio di Santa Maria Assunta, si pone già in attesa, pronto ad intraprendere un cammino marcato dalle foto. Appena varcata la soglia dell’oratorio siamo accolti dalle immagini ambientate a Villa Presina, posizionate difronte a noi. Il nostro occhio viene rapito la nudità di quei corpi in contrasto con l’imperfezione del muro scrostato. La luce regna sovrana, sottolineando impietosa le crepe dell’intonaco, che fa da sfondo a due giovani donne. La loro posa plastica richiama una scena teatrale. Richiama un tableau vivant e sorprende lo spettatore con corpi che diventano immagine. Perché non si tratta solo di mere immagini di donne esposte, ma attrici su una scena, impegnate a rappresentare un’idea di bellezza formale.

Per questo la peculiarità delle opere di Kesho è la capacità di fondere insieme più linguaggi, intrecciando codici diversi che spaziano dalla pittura, alla scultura, al cinema, al teatro per poi congiungersi con la danza. E mentre si procede seguendo il cammino ideale, tracciato dalle fotografie, ci si rende immediatamente conto che esiste una logica nella progettazione che prevede che l’attenzione dello spettatore arrivi al centro dell’abside. Iniziamo, quindi, il nostro itinerarium ad pulchritudinem con i due splendidi primi piani in bianco e nero dove la stessa ragazza è ritratta inginocchiata e legata. La prima foto, a destra dell’ingresso, la ritrae col mento abbassato sullo sterno mentre la seconda, alla nostra sinistra, la ritrae di terga con le mani congiunte dietro la schiena. Colpisce per le sue rotondità sinuose, per la sua carne che esce compatta dai giri di corda. Nonostante nell’immaginario la donna legata come una imponente prigioniera possa destare qualche perplessità in spiriti sensibili o disattenti, l’uso del bianco e nero, ma soprattutto l’eleganza della composizione, rende il tutto estremamente delicato. Nell’osservare queste due fotografie mi sono ricordata i versi di Rupi Kaur

“our backs
tell stories
no books have
the spine
to carry”
Le nostre schiene
raccontano storie
che nessun
dorso di libro regge

…perché in fondo l’arte non insegue la perfezione, ma la vita.

L’occhio del pubblico non può non essere rapito dal polittico e dall’immagine forte, ma altamente evocativa, di una donna incinta rappresentata in croce. A mio avviso questo gruppo di opere sono da leggersi insieme, come in una sequenza di una maternità

La rappresentazione della croce, di chiara ascendenza caravaggesca, si pone come un pugno nello stomaco, uno schiaffo verso il perbenismo. Ma in fondo, se il Barocco è linee curve e giochi di luce, che illuminano i piedi sporchi di un vecchio inginocchiato davanti alla Madonna, anche una madre può diventare un dio immolato per l’umanità. O, forse, più semplicemente il simbolo di una maternità, che negli anni ha perso tutta la sua naturalezza piegandosi alle logiche del mercato dei Pampers e dei selfie con pancina.

La presenza del ritratto dell’artista in quella definita Tableaux vivant in my living room, interrompe per un momento la concentrazione di figure femminili. L’uomo è seduto mentre osserva un quadro appeso ad una parete rossa. Il quadro limitato da una cornice importante, in realtà è un esercizio di shibari estremamente complesso nella realizzazione. Un’opera nell’opera. Qui il corpo di una fanciulla, la cui posa ricorda quella di Paolina Bonaparte, è un quadro vivente. Il fine non è quello di suggerire una citazione, ma quello di stupire. In fondo l’arte dei Tableaux avevano come scopo quello di ingannare il pubblico, giocando con l’illusione di una narrazione statica e silenziosa. È pura contemplazione.      

Infine, protetta dall’abbraccio dell’abside una foto spettacolare per intensità dei soggetti e per la forza che emana, un tributo ai grandi artisti del 500. Omnia vincit amor richiama non a caso le antiche pale di altare. Ma per i corpi statuari, il pathos e l’uso sapiente del chiaroscuro non può non sintetizzare la drammaticità delle crocifissioni di Caravaggio.

Per concludere perché una mostra dal titolo Shibari – Estetica ed Estasi? Semplice perché la femminilità, attraverso un simbolo di costrizione come la corda, diventa immagine iconica di una trasformazione che, paradossalmente avvinghiando le membra, libera l’anima.

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