Circa 25 anni fa, parlando con una mia amica, modella e musa ispiratrice dell’epoca, le raccontavo di un film giapponese in cui avevo visto delle geishe legate con dei nastri di seta rossi e lei mi disse: “Ah si, è Shibari…”. Questa parola accese nella mia mente una lampadina, fu come una sorta di illuminazione! Da quel preciso istante iniziai una spasmodica ricerca di tutto ciò che riguardava questa spettacolare arte e cercai di impararla e applicarla alle mie ricerche fotografiche sul corpo femminile, che già da tempo risentivano di contaminazioni Fetish con qualche accenno al mondo del BDSM. Alcuni anni dopo, durante una di queste ricerche di immagini da cui prendere spunto ed ispirazione, sono incappato su dei disegni che mi hanno letteralmente colpito. Sembravano delle stampe antiche rappresentanti donne, probabilmente geishe, dal corpo sensuale e quasi completamente adornato da spettacolari tatuaggi, raffigurate in situazioni di sottomissione, punizione, umiliazione… erano le opere dell’artista Ozuma Kaname. L’impatto emotivo è stato molto forte: colori, composizioni e situazioni rappresentate, mi hanno molto stimolato creativamente, inducendomi a prendere spunti per le mie ricerche fotografiche sul tema dello Shibari. L’intento non era realizzare delle foto per le quali avevo solo preso spunto, magari per la posizione della modella come avevo fatto negli anni precedenti, ma cercare di riprodurre quanto più fedelmente possibile le tavole di Ozuma. È stata una grande sfida, direi un’impresa titanica, che ha coinvolto molti bravi collaboratori, senza l’aiuto dei quali questa impresa sarebbe stata impossibile! Riprodurre nell’Italia del 2019 ambientazioni che somigliassero al Giappone di inizio secolo, cercare ambienti, oggettistica per scenografia e costumi adeguati, non è stata cosa facile. Riprodurre poi nella realtà, con corpi veri, realmente legati e rappresentati in certe situazioni, quello che era stato precedentemente creato con un disegno, ha messo a dura prova la mia abilità di rigger (legatore) e di fotografo, ma soprattutto la professionalità e la disponibilità delle modelle che hanno sopportato posizioni, situazioni e legature tutt’altro che confortevoli. Alcune legature sfidavano la legge di gravità, non tenevano conto dei baricentri, erano piuttosto scomode e neanche particolarmente corrette od estetiche rispetto a quello che sappiamo far oggi con le corde… ma lo scopo era copiare quanto più fedelmente possibile le opere di Ozuma Kaname! Spero di esserci riuscito… come disse il Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza” !